Nel regno del buon senso
Postato il 10 Maggio 2019, di Francesco Torchia
buonsenso

Negli ultimi tempi scorre nelle bocche di alcuni politici il rinvio al “buon senso”. Non so perché ma all’impronta questa insistenza puzza di imbroglio. Mi sono chiesto cos’è che non funziona in questo ossessivo e compiaciuto richiamo?
Ecco la mia personale risposta.

Prima di tutto un po’ di storia: a lanciareil modo di dire è stato il politico oggi più in voga, Matteo Salvini, che è anche quello che si caratterizza per il linguaggio più elementare e grossolano, condito di pochi gesti ripetuti e farcito di frasi corte per lo più sloganiste, frutto di una sintassi senza subordinate e coordinate nella quale ogni enunciazione si conclude con un punto esclamativo.
“Chiudere i porti è un’operazione di buon senso”, “Armare i cittadini per legittima difesa è buon senso”, “Introdurre la flat tax per il benessere del popolo è buon senso”, ecc…

Una volta lanciato, il nuovo slogan ha fatto breccia nei cuori di politici e giornalisti finendo con l’essere adottato da tutti e ripetuto in ogni occasione, attribuito spesso a ragionamenti e analisi in netta contraddizione, così da vanificare il preteso universalismo che risuona nella sicumera di chi vi fa ricorso.

Ma cos’è in definitiva questo “buon senso”? Il vocabolario recita: capacità naturale, istintiva, di giudicare rettamente, soprattutto in vista delle necessità pratiche, ma il sospetto che sia una trovata propagandistica o una faciloneria per tagliar corto evitando ragionamenti più approfonditi e dunque rischiosi è abbastanza consistente.
Il “buon senso” corre pericolosamente sul filo del “senso comune”, si confonde con la doxa (il territorio delle credenze soggettive), non ha passato il vaglio della scienza e dunque si situa all’opposto dell’episteme (conoscenza scientifica, basata su dati certi e certificati).
La nozione di “buon senso” nella sua vaghezza fa il paio con quella di “popolo” (non a caso spesso in bocca al già citato leader politico). Entrambe sono scorciatoie per non affrontare la complessità e l’inafferrabilità della realtà, alludono a qualcosa dato per scontato, ma non rivelano niente. Così come il popolo è un’astrazione, un riferimento più letterario e mitologico che reale, allo stesso modo il buon senso evoca una piatta e quieta ragionevolezza che è come una chimera, un’idea senza fondamento, o come l’araba fenice, l’uccello di fuoco che muore e rinasce, appare e scompare, senza mai posarsi.

Il buon senso

è un pozzo senza fondo in cui si depositano pensieri semplici, luoghi comuni, idee conformiste, quell’insieme che, all’incontrario della sua dichiarata ambizione assolutistica e risolutrice, si dimostra sempre relativo: ad un’epoca, ad un modo di vivere e pensare, ad una fetta di popolo, ad un ceto sociale…

Di buon senso

così come di buone intenzioni è lastricata la strada dell’inferno. Se si ha bisogno di un bagno nel buon senso basta immergersi nel pieno di una discussione tra persone in un bar, in un non-luogo qualsiasi, in un talk show, in un reality show dove ognuno è portatore del suo buon senso, e il rischio è di affogare in un mare di contraddizioni.

Il buon senso è spesso dettato dalla paura.

Chi può negare che Don Abbondio non sia un uomo di buon senso? Salvare la pelle non è buon senso? Costi quel costi, magari anche il sacrificio della vita di un altro.
Se si scava a fondo nel repertorio del buon senso, non si fatica a trovare che banali pensieri condivisi, spacciati per ragionevoli solo perché patrimonio di una maggioranza, ma alla prova della scienza quasi sempre infondati.
Ebbene sì, spesso (ed è certamente il caso del leader della Lega) il buon senso nasconde un pensiero cattivo e talvolta un’azione cattiva: chiudere i porti è frutto di buon senso, lasciare essere umani in mare è l’azione cattiva; sgomberare i campi rom è buon senso, considerare i rom “brutti, sporchi e cattivi” è il maligno pensiero che lo regge.

Il buon senso oltre che alla conoscenza, si contrappone al paradosso e all’intuizione.
Paradosso, alla lettera contro la doxa (l’opinione), è un fatto o una affermazione che contraddice l’opinione comune (compresi i precetti del buon senso) riuscendo sorprendente, magari bizzarro, ma con effetti logico-linguistici rivelatori.
Intuizione è una conoscenza diretta e immediata di una verità, trascende il buon senso ed è epifania, comprensione profonda, che matura nell’inconscio (che è linguaggio). Inspiegabile a tutta prima, l’intuizione è sempre controcorrente, manifesta ciò che nessuna ragionevolezza può nemmeno immaginare. Su qualsiasi questione se si punta a toccare una minima verità bisogna affidarsi alla conoscenza, al paradosso e all’intuizione piuttosto che al buon senso, perché le cose non sono mai come appaiono, non stanno racchiuse al tiepido dei pensieri ben sensati e ponderati, non si rivestono del comune sentire, ma si forgiano nel fuoco della battaglia tra contrari.
I furbi affermano che non bisogna confondere il buon senso con il senso comune, vogliono suggerire che la sua origine è innata, risiede nel cuore di ogni uomo, ma non è così, nulla è innato così come nulla nasce fuori del linguaggio dominante e tutto è acquisito o frutto di un concepimento che ha genitori plurimi e già strutturati. Così quello che oggi appare di buon senso agli occhi dei più è soltanto ciò che corrisponde al modo di pensare, alle credenze, alla saggezza spicciola in auge nei tempi che corrono. Ieri non era lo stesso e domani sarà diverso e quanto è ragionevole qui, altrove non lo è. Del resto il sospetto e l’esitazione manzoniana riguardo al nascondersi del buon senso difronte all’evidenza invadente del senso comune ne testimonia almeno la “rarità” delle sue apparizioni nella testa degli uomini. La distinzione è dunque d’obbligo, ma a patto di scegliere scienza e paradosso come antidoti al senso comune e come unici genitori di quel che resta del buonsenso. Contrariamente è meglio seguire la raccomandazione di Dostoevskij: “per essere davvero un grand’uomo bisogna saper resistere anche al buon senso”.
Quindi chi si appropria e fa ricorso oggi al buon senso, nel dibattito politico, è in malafede: taglia corto per incapacità di approfondimento, per l’impossibilità di dimostrare “scientificamente” le proprie tesi, e si appella al buon senso con l’intento demagogico di andare incontro alla gente, dunque, attribuendo saggezza e ragionevolezza a ciò che è soltanto senso comune. Questa finta specularità tra il politico e il popolo è inganno, ha la funzione di tranquillizzare e rassicurare e nasconde le paure e gli orrori da cui oggi si generano la maggioranza dei pensieri che circolano.
Spesso si usa dire: “logica e buon senso vorrebbero…” dimenticando che le due qualità raramente combaciano. La logica non necessariamente è lineare e se è “ferrea” sfugge ai diktat del principio di realtà cui invece è sempre legato il buon senso. Quest'ultimo quando diventa persino una promessa da campagna elettorale (la leghista “rivoluzione del buon senso”) suona sinistramente come l'anticamera del “pensiero unico” che a sè assoggetta tutta la realtà bandendo ogni altro pensiero in quanto astruso, irragionevole e innaturale.
Dunque usiamo il buon senso con parsimonia e alleniamoci ad elaborare pensieri complessi (sebbene non complicati) frutto di una riflessione che osa andare controcorrente, contro il nostro stesso supposto buon senso. Solo così rischieremo di sfiorare la verità che, si sa, per statuto non è mai comoda e tantomeno di comodo.

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