Grilli, corvi, rospi e asini - bestiario della politica italiana
Postato il 22 Gennaio 2019, di Francesco Torchia
bestiario

Come in un bestiario medievale l’habitat della politica italiana odierna dipana una sfilza di personaggi che rievocano alla mente (per metafora o similitudine) la classificazione degli animali, allegorica e simbolica, di quel genere letterario in voga nei secoli XII e XIII in Europa.
La differenza è che queste nuove “bestie”, reali e non immaginarie, dal volto umano e dalle caratteristiche promiscue a metà strada tra la bestialità e l’umanità, del loro verso abituale fanno una lingua e dunque parlano, seminano giudizi, sparano verdetti, propagano idee (ideologie, nel senso marxiano di falsa coscienza).
Così, come nelle favole, i grilli frinendo parlano, i corvi gracchiando parlano pure loro, e anche i rospi gracidando parlano così come gli asini ragliando parlano. Il loro verso/parola pur disturbante all’orecchio umano, tuttavia talvolta sa sedurre prendendo le forme convincenti della “retorica”.

In questo articolo ci limiteremo al dettaglio analitico delle quattro “bestie” enumerate nel titolo. E allora cominciamo…

IL GRILLO

Della specie degli insetti, il grillo campestre frinisce e parla senza interruzione. Sentenzia frasi sconclusionate, enuncia pensieri più alti delle sue possibilità, s’inciampa su concetti che non possiede pienamente, abborraccia, con l’approssimazione di chi non ha studiato abbastanza, discorsi semiseri sui destini del mondo.
Vorrebbe somigliare al “grillo parlante” di collodiana memoria, giocare a fare la coscienza che ammonisce i suoi burattini, annunciare la nuova “buona novella”, ma la rabbia, l’ira e il rancore sono troppo forti e su di lui hanno sempre il sopravvento. Frammischia le sue parole con battute cattive, inveisce quando non sa come cavarsela, maschera bile dietro una risata o uno sberleffo, rispolvera la sua vis comica, mescolandola ad un pensiero che si autodichiara superiore. Poi, quando non ha più niente da dire, si lancia in un peana intriso di deliri, dove mimando l’eloquio del santone che profetizza, s’asside sul trono dell’“elevato”, parandosi dietro un’autoironia che fa cilecca, poiché non riesce a camuffare abbastanza il narcisismo debordante.
Quando talvolta, nelle ore del giorno, finalmente tace, guardandosi allo specchio si domanda come sia stato possibile che quel suo frinire continuo e fastidioso abbia suscitato tante simpatie, quale miracolo gli abbia salvato la vita.

Ma c’è anche il GRILLO domestico, detto del focolare. Oggi, preferibilmente, si materializza nei pixel e nelle luci fredde del moderno focolare fullHD, di sera e di notte. Ma la sua sede abituale è nel fondo di un giornale dal quale emette le sue sentenze, promuove o boccia, assolve o condanna. È il grillo fustigatore dei corrotti, ossessionato dai peccati e dai vizi del bestiario politico. Il Grillo domesticus ridens (per affinità si direbbe con il mammifero carnivoro maculato) azzanna le vittime prescelte, con il suo sarcasmo affilato le spolpa, si accanisce con veemenza giocando con le parole, nascondendo la verità dietro abili circonlocuzioni, muovendo i fatti a suo piacimento, inventando collegamenti inverosimili, ammantando ogni suo detto di una superiorità così sicura di sé da sfiorare la millanteria.
La maldicenza letterale, il sillogismo azzardato, l’ossimoro spropositato sono il suo pane “quotidiano”, il grillo del focolare non conosce il dubbio, il beneficio d’inventario, al contrario ama squadernare le pagine del suo gazzettino per esibire la solida certezza di chi assegna a se stesso tutta la superiorità morale possibile.
Non riposa mai e perciò non ha mai il tempo di porsi alcuna domanda.
Vien voglia di porre un termine al suo saltellare tanto è fastidioso quel frinire tutt’altro che benaugurante.

IL CORVO

Uccello dal forte becco, allungato e con la punta leggermente ricurva, si presenta a stormo, come una nube nera, minaccioso sulle bionde distese, ma anche solitario, il corvo baffuto s’aggira tra studi televisivi, riunioni di partito e diradate conferenze. Di tanto in tanto, centellinando le sue presenze, rilascia interviste al vetriolo, semina zizzania, si schermisce dietro una falsa modestia e intanto dispensa saggi ammonimenti, furbizie e “massimi” principi. Come nella favola pasoliniana si sente il depositario dell’ideologia marxista, pronto a punire con la sua lingua mordace chiunque sgarri dalla linea da lui stessa tracciata. È stato ai vertici per un tempo non breve, ora, un po’ invecchiato, si muove dietro le quinte, ma non smette di stendere con i suoi ammonimenti, frutto di un senso di superiorità malcelata, un’ombra, un po’ malaugurante, su tutto ciò che di nuovo, eretico, si muove sotto le sue ali.
Con lui spesso si accompagnano simili della stessa specie: il corvo pelato, il corvo canuto, il corvo barbuto, il giovane corvo occhialuto e pochi altri ancora. Insieme talvolta intonano gracchiando un concerto dissonante (perché tra loro spesso battibeccano) inneggiando al tempo che fu e a quei saldi concetti che non spiegano più niente.
Chiacchiera, chiacchiera e gracchia, ignaro della fine che pende sul suo capo, come profetizzò – ambiguamente, ma con genialità - Pasolini: ucciso, cotto e mangiato “come gli antichi che buttavano i cocci e si mangiavano i fichi”.

IL ROSPO

Anfibio, doppia natura, il rospo è brutto e gonfio, gracida slogan, incapace di un eloquio articolato, gesticola ripetitivamente mentre sciorina asserzioni da trivio.
Si dice: in un mondo di rospi è destinato al successo, la sua lingua è compresa da tutti i suoi simili. Ma per spiriti meno rozzi resta difficile da ingoiare ed è sempre meglio sputarlo per liberarsi dai suoi veleni.
Il suo aspetto è cangiante, ama mostrarsi in divisa, ma per lo più è sciatto e volgare anche in giacca e cravatta.
Si dice: per questo è popolare. Già è vero, ma è solo il frutto di una democrazia un po’ “animale” che lo ha eletto a suo rappresentante.
C’è qualcosa di stregonesco e pericoloso nel suo sguardo, sprizza cattiveria velata di falsa bonarietà e intrisa di luoghi comuni e banalità.
Perdendo le sue antiche abitudini notturne, appare con frequenza assidua, nei suo mille travestimenti, di giorno e di notte, da mattino a sera; in origine timido e represso, ora s’è fatto vanitoso e arrogante, nasconde il gracidio insopportabile in un continuo cinguettio, spacciandosi per un usignolo con tale sfacciataggine e insistenza da risultare alla lunga comunque fastidioso e urticante.
Non sopporta le altre specie, ama tenerle alla larga, si dichiara “sovrano” nel suo territorio anche se per lui non ci sarà mai una principessa con lo stomaco di baciarlo.

L'ASINO

Della specie equina, detto anche ciuco o somaro, o più familiarmente ciuccio (in virtù della sua origine campana). Cocciuto e ostinato, ha una sola idea fissa in testa, da diverso tempo la va sbandierando, e non vuole sentire ragioni, ottusamente s’illude che sia la soluzione di tutti i mali. Il suo raglio è scoordinato e sgrammaticato, parla a sproposito, non avendo il senso del ridicolo. Renitente allo studio, non è competente in nulla, ma pretende d’essere ascoltato in quanto eletto e nominato come primo cittadino, rappresentante emerito di tutti gli asini. Ragliando fino allo sfinimento s’avventura in lunghi monologhi in diretta, infiorettandoli con similitudini apprese malamente a memoria, con metafore raccattate sulla rete di cui però non conosce il senso. Quando raglia ha stampato sul muso un sorriso che millanta sicurezza e abbozza cordialità. S’accompagna spesso con un altro asino suo pari, che ad ignoranza e incompetenza unisce l’arroganza ragliando con prepotenza e sicumera, pronunciando discorsi battaglieri senza capo né coda.
Entrambi si muovono scomposti, scalciando a destra e sinistra, poiché non si ritengono né dell’una, né dell’altra banda, sono asini qualunque, cittadini della repubblica dei somari, Lucignoli imperterriti e gongolanti, che scalpitano festosi nel loro eterno paese dei balocchi.
Dell’antica baldanza sessuale gli è rimasto ben poco, e non c’è shakespeariana “regina della notte” disposta ad ascoltare il suo raglio canterino.
Molti altri sono gli animali che popolano il bestiario politico italiano: cani che abbaiano, maiali e cinghiali che grugniscono, avvoltoi, iene, serpenti… l’elenco è lungo, ma a scorrerlo tutto si nota l’assenza del gatto, che silenzioso e sornione se ne sta fuori a guardare lo spettacolo, ai suoi occhi incomprensibile e assurdo e alle sue orecchie cacofonico, esibito nel serraglio politico.

Nota bene
1. La metafora che equipara uomini ad animali, è solo un gioco sul filo di un’antica comica comparazione, non intende offendere le specie animali che, anzi nella maggior parte dei casi, si mostrano più savie e mansuete di quella umana.
2. Ogni allusione e riferimento a fatti e persone realmente esistenti, non è affatto casuale.

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