Omaggio e ricordo di Jerzy Grotowski

Postato il 24 Gennaio 2020, di Francesco Torchia


Questo incontro non è una commemorazione per il ventennale della morte di Jerzy Grotowski e nemmeno la festa per un compleanno postumo. Nel rischio di un eccesso celebrativo, che poi non c’è stato, e nella certezza di un deserto di dimenticanze, preferiamo ricordare l’anniversario della nascita di un uomo che ha segnato profondamente la storia appena passata del teatro e non solo del teatro.

Jerzy Grotowski non è stato soltanto un uomo di teatro, non è stato solo un regista e nemmeno un semplice maestro di attori, Jerzy Grotowski è stato soprattutto un ricercatore, non casualmente il suo primo esperimento portava il nome di “Teatro laboratorio”, sul modello non dell’istituto di ricerca scientifica, ma dell’artigiano, secondo le sue stesse parole, dell’intagliatore medievale che cercava di ritrovare nel suo pezzo di legno una forma preesistente. Un ricercatore, ovvero un uomo in cerca, che ha attraversato e superato il teatro, si è inoltrato nei territori della etno-antropologia, ha sfiorato le regioni della mistica e delle religioni, si è confrontato con il mito, ha studiato sul campo il rituale, sempre sulle tracce di un’azione che fosse anche un atto di conoscenza, un’azione radicale e radicata, capace di liberare le energie sopite, di favorire una percezione diretta delle cose, di instaurare relazioni autentiche tra gli esseri umani.

Dapprima nel teatro con la scelta del “teatro povero”, facendo a meno di scene, costumi, trucchi, musiche registrate, ha restituito all’attore la possibilità di essere sincero, di non nascondersi dietro una maschera, di donarsi nella relazione con l’altro, il proprio partner sulla scena, il pubblico nella platea spazialmente rivoluzionata, in un atto totale di sacrificio di sé. Poi con il Parateatro ha tentato di estendere questa non-recitazione raggiunta sulla scena anche nella vita delle persone normali, attraverso incontri e laboratori aperti ed esperienze radicali di confronto con se stessi, con gli altri, con la natura, perché sosteneva che già recitiamo, ovvero siamo insinceri, a sufficienza i ruoli che ci sono assegnati nella vita. Perché allora sforzarsi di farlo meglio e non piuttosto disarmarsi, tentare di essere se stessi?

In seguito ha avviato, sulla scorta dei limiti apparsi nel corso del Parateatro, una ricerca sulle fonti delle tecniche rituali di conoscenza e percezione, convinto dell’esistenza di un’oggettività drammatica -dal greco drama, cioè azione- transculturale, che precede il teatro, il mito, il rito ed è capace di trasformare le energie pesanti in energie sottili e di guidare l’uomo/attuante in un’ascesa verso una conoscenza più alta e più profonda. E alla fine è stato nel veicolo di alcuni canti antichi che ha trovato la chiave, la cifra segreta, l’ascensore primordiale, per raggiungere la meta a lungo cercata, una saggezza non intellettuale, una tensione verticale, capace di liberare dalla schiavitù delle relazioni orizzontali, un rapporto diretto col mondo naturale.

Insomma, la ricerca di Jerzy Grotowski si è compiuta inanellando una catena che dal “teatro come presentazione” (l’epoca degli spettacoli) è giunta “all’arte come veicolo” (il lavoro sul Performer, colui che compie l’azione). Egli ha perseguito con rigorosa coerenza, pur passando attraverso salti e rotture inevitabili, quell’utopia di un uomo nuovo, di un altro modo di essere al mondo che fu coeva e condivisa nei suoi esordi, ma poi dai più fu messa da parte nel corso degli anni, per concentrarsi sull’innovazione e la riforma del teatro piuttosto che sulla rivoluzione dell’uomo.

Jerzy Grotowski è stato l’unico a non abbandonare quella ricerca, perché l’unico a non seguire mai la corrente principale e a cercare sempre in ogni circostanza storica la complementarità.






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